Amava i pensatori dell’Illuminismo, e soprattutto Diderot per il suo materialismo incantato. Come postfazione ad un’edizione italiana, a cura di Sellerio, di Sogno di d’Alembert, Eugenio Scalfari ha immaginato un dialogo tra Julie de Lespinasse e il filosofo, sulla fragilità delle cose umane dove quest’ultimo ha ricordato: “Per te, per me, per ognuno di noi, il nostro effimero è la nostra eternità. » Figura di spicco della vita intellettuale italiana, noto giornalista, giornalista di successo, fondatore del settimanale Caffè espresso (1955), poi quotidianamente La Repubblica (1976), Eugenio Scalfari,, era un grande amante della lingua e della cultura francese. E Il mondo, una delle sue letture preferite. È morto all’età di 98 anni giovedì 14 luglio, annunciato La Repubblica.
“Il Direttore”come lo avrebbero affettuosamente chiamato i suoi collaboratori o anche quelli a lui vicini La Repubblica, “questo quasi filo di carta” di cui ha tenuto il timone per vent’anni, tra il 1976 e il 1996, è ancora più combattivo e influente del suo modello di rue des Italiens parigina. Da più di quarant’anni, La Repubblica fa opinione in Italia e crea l’evento con le sue interviste shock o le sue indagini.
Il giornale del Piazza Indipendenza – un buon indirizzo per un media, anche se da allora si è mosso – resta un contro-potere, un anti-potere, un maggiore del potere. “Un diario corsaro”, come amava caratterizzarlo il suo direttore fondatore con la barba bianca di Garibaldi sobrio. Ammiratore incondizionato della Rivoluzione francese, che ogni anno celebrava il 14 luglio invitando amici, intellettuali, industriali e politici, anche questo giacobino nel cuore avrebbe voluto, in Italia, poter credere pienamente nella Repubblica e nello Stato .di diritto. “La corruzione italiana nasce dal fatto che lo Stato è percepito dalla popolazione come qualcosa di esterno ad essa, con una classe dirigente barricata a difesa dei suoi privilegi”, ha ricordato volentieri.
Il più temuto dei giornalisti
Sulle colonne del suo giornale auspicava il rigore economico e la giustizia sociale, la benevolenza verso i comunisti divenuti riformisti, il dialogo con il mondo cattolico e soprattutto il rispetto della cosa pubblica. Anche dopo aver rinunciato alle redini del quotidiano, ha continuato a portare queste idee nei suoi lunghi editoriali domenicali, “le sue omelie”, come li chiamava scherzosamente.
Eugenio Scalfari è stato il giornalista italiano più influente, più rispettato, più temuto dell’ultimo terzo del XXe secolo. Il più odiato anche da coloro che uccise. “Se dovessi dare un voto darei un 10 su 10 al capo della stampa, un 8 al giornalista, ma appena la media al politico, perché spesso sbagliava”, scherza un ex senatore che gli era vicino.
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