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“Giovanni” Moretti si avvicina al suo “doppio” sullo schermo

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“Giovanni” Moretti si avvicina al suo “doppio” sullo schermo
“Verso un futuro radioso”, di e con Nanni Moretti.

L’OPINIONE DEL “MONDO” – DA NON PERDERE

L’ultimo lungometraggio di Nanni Moretti, Verso un futuro radioso, uscito a fine aprile in Italia, presentato in stride al Festival di Cannes a maggio, è l’opera di un uomo libero, anzi emancipato. A 69 anni sospende la svolta fatalistica che aveva finito per prendere il suo lavoro, in particolare con i più cupi Tre piani (pubblicato nel 2021). Si riallaccia persino al personaggio d’antan, il burbero, bizzarro cabochard, in lotta contro tutto, che lui stesso interpretava, e nel cui procrastinare la sinistra italiana si è a lungo ammirata. Precedentemente chiamato Michele Apicella, questo alter ego è qui ribattezzato Giovanni. O il vero nome che si nasconde sotto il diminutivo “Nanni”, segnale di un chiaro riavvicinamento tra il regista e il suo sosia sullo schermo.

Leggi la recensione (Cannes 2023): Articolo riservato ai nostri abbonati Con “Verso un futuro radioso”, Nanni Moretti firma un film di disastro esistenziale

Giovanni è infatti un anziano regista, che si lancia nelle riprese di un film d’epoca: L’Italia del 1956, quando si sentono gli echi dell’insurrezione popolare che scoppia in Ungheria contro il regime comunista. Al Quarticciolo, nella periferia romana, la locale cellula del Partito Comunista Italiano (PCI) riceve una troupe circense ungherese, accolta a braccia aperte da Ennio (Silvio Orlando), direttore di Unita, e sua moglie, Vera (Barbora Bobulova). La sera stessa viene annunciato l’ingresso dei carri armati sovietici a Budapest e la repressione della rivoluzione. Vera si posiziona a favore dei rivoltosi e vi vede l’occasione perfetta per il PCI di sfuggire alla tutela sovietica. Ennio, dirigente politico imbarazzato, si rinchiude nelle sue contraddizioni, per non uscirne più.

Tuttavia, questo scenario amaro e serio non regge davvero, Giovanni ne è distaccato mentre tutto intorno a lui si incrina. Sua moglie e produttrice abituale, Paola (Margherita Buy), lo lascia per lavorare a thriller ultraviolenti alla moda. Il suo coproduttore francese (Mathieu Amalric), a corto di soldi, si ritrova ben presto in manette. E per finire, sua figlia compositrice (Valentina Romani) sposa un diplomatico settantenne. Decisamente, il mondo contemporaneo si ostina a non voltarsi, fino ai decisori di Netflix, uno spiedo di robot umani, scoprendo che alla sua sceneggiatura manca un tocco “che cazzo” – che lo lascia senza parole.

Versione italiana di Sacha Guitry

Nei panni di Giovanni, boomer recalcitrante contro l’ordine delle cose, Moretti non è più esattamente l’istrione di un tempo, e alla sua performance si aggiunge un’ulteriore dimensione: lo spessore dell’età – posture più rigide, scorrimento più lento, assenze temporanee e tempo sincopato – il che lo rende ancora più travolgente. Il regista-attore, infatti, non è mai sembrato così tanto a una versione italiana di Sacha Guitry: ideatore di una finzione in divenire, che dirige il suo film dall’interno, intervenendo in ogni inquadratura come per modificare la lezione o aggiungere il proprio commento a Esso.

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