Le recenti dichiarazioni del Presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni sulla Tunisia sono essenzialmente dichiarazioni politiche, deliberate e attentamente pianificate. Insistono sulla necessità di aiutare la Tunisia con il Fondo monetario internazionale ei paesi donatori, per evitare il collasso dell’economia tunisina. Per proteggere l’Italia, come lei dice, dall’enorme afflusso di clandestini provenienti dalla Tunisia e dall’Africa in genere. (Illustrazione: manifestazione del 20 marzo a sostegno del presidente Kais Saied).
di Mukhtar Al-Amari *
Nel caso di questo scenario disastroso, inizierà un’ondata di emigrazione clandestina e incontrollata verso l’Italia e, indirettamente, verso Francia e Germania.
I servizi segreti italiani stimano che quasi 700.000 migranti africani stiano aspettando in Libia di partire per l’Italia, via Tunisia, qualora l’incruento Stato tunisino dovesse crollare e perdere il controllo dei suoi servizi pubblici essenziali.
L’Italia non è la sola a vedere avvicinarsi la bancarotta in Tunisia, se il presidente Kais Saied continua a procrastinare di fronte alle riforme chieste dal Fondo monetario internazionale e dai donatori.
L’accordo del FMI è necessario
Per molti analisti ed economisti la Tunisia è già tecnicamente fallita, incapace di saldare debiti insostenibili, che allo stesso tempo si sono resi necessari per pagare gli stipendi di quasi un milione di dipendenti statali (sia pubblici che pubblici), sul totale degli occupati popolazione. da 3,7 milioni.
L’accordo con il Fondo monetario internazionale diventa infatti la prima scintilla per altri aiuti e finanziamenti internazionali. Ma questo è solo l’inizio di un lungo percorso di dolorose riforme a tutti i livelli. Il Paese si è lentamente e costantemente impoverito dal 2011. I processi di impoverimento e distruzione della classe media si sono seriamente intensificati dal 2018.
Questo però non va bene al presidente Qais Saeed, che ha monopolizzato tutti i poteri e che vuole che le prossime elezioni presidenziali inizino con un minimo di problemi, tossicodipendenze sociali e previdenziali, e tensioni con i sindacati.
Lo status quo auspicato da Qais Saied è decisamente insostenibile, e le casse dello Stato sono vuote, con un deficit di 25 miliardi di dinari per completare il bilancio statale (60 miliardi di dinari).
Gli europei vedono il Paese bloccato in una manovra a tenaglia tra il potere autoritario del presidente da un lato e l’impasse con il Fondo monetario internazionale, e indirettamente con i donatori internazionali. Per questo l’Unione Europea sta inasprendo la sua retorica e vuole spostare i confini tra la Tunisia e il Fondo Monetario Internazionale, da un lato, e, dall’altro, tra le dimensioni politiche e le questioni economiche all’interno dello Stato tunisino.
Spada di Damocle!
L’economia costituisce ormai una spada che pende sul regime di Qais Said e sulla stabilità politica in Tunisia.
L’Italia non è solo un paese vicino raggiungibile in breve tempo via mare (200 km), ma anche un importante partner economico della Tunisia. Il volume delle esportazioni tunisine verso l’Italia è di circa il 20% e le importazioni sfiorano il 14% del totale delle esportazioni e delle importazioni.
Diverse centinaia di aziende tunisine esportano in Italia (tessile – abbigliamento, pesca, olio d’oliva, ortaggi, frutta, ecc.). Il principale gasdotto che collega l’Algeria all’Italia passa per la Tunisia, e niente al mondo vuole che l’Italia sia sorpresa dalle interruzioni e dai sabotaggi conseguenti al crollo della Tunisia, e al ritorno del caos vissuto negli anni che seguirono la fuga dei dittatore. Ben Alì nel 2011.
Questi numeri la dicono lunga sull’entità dei danni per l’economia tunisina, se l’Italia dovesse fare più pressione sulla Tunisia. Possiamo pensare a sanzioni mirate a limitare le importazioni, a tasse aggiuntive sulle esportazioni o addirittura a divieti assoluti su determinati prodotti.
impoverimento e degrado…
Questo scenario estremo metterebbe a rischio centinaia di migliaia di posti di lavoro in Tunisia. E la questione potrebbe peggiorare se l’Unione Europea seguisse l’esempio imponendo sanzioni economiche o boicottando la Tunisia, a causa della sua produzione oltre che per l’inasprimento delle attività turistiche, di cui beneficerebbe la Tunisia.
La posta in gioco è enorme per l’economia tunisina e il governo tunisino deve essere in grado di gestirla con intelligenza. E si scopre che a livello di sfide agisce in modo chiaro e lontano dalla dura retorica e dalla retorica politica favorita dal presidente Qais Saeed.
Gli investimenti sono piatti e lo stato non può più nemmeno mantenere o sostituire infrastrutture economiche vitali. Il tessuto produttivo si sta sgretolando e sfilacciando, pezzo per pezzo, settore per settore… Bisogna accecare i gesti politici di partito per non vedere che l’economia si spacca e si spacca ovunque.
Lo Stato tunisino non deve continuare a giocare con il fuoco, chiudendo un occhio sull’urgenza delle riforme e di un accordo con il Fondo Monetario Internazionale, che toglierebbe lo stato di blocco finanziario imposto di fatto al Paese.
Anche il governo tunisino deve comunicare meglio su questi temi, in modo trasparente e documentato, con personalità di supporto.
Altrimenti, l’attuale panico potrebbe andare fuori controllo e portare rapidamente all’instabilità politica, alla fuga di capitali e alla frettolosa partenza degli investitori stranieri che operano in Tunisia.
Gli economisti, da parte loro, devono fare la loro parte per dare l’allarme!
* Economico accademico, Canada.