Il calvario dei migranti che cercano di raggiungere l’Europa è emerso come il tema politico dominante del Festival di Venezia, le cui finestre offrono una visione a volo d’uccello di un Mediterraneo che è diventato la tomba di migliaia di candidati all’esilio.
I maggiori rappresentanti del cinema sociale o politico affrontano da tempo questioni di integrazione e xenofobia. Anche di recente, i fratelli Dardenne con Tori e Lokitapremiato a Cannes nel 2022, o Ken Loach, con La Vecchia Querciapresentato quest’anno sulla Croisette e che uscirà nelle sale francesi il 25 ottobre 2023.
Una competizione politica
Ma il tema è ancora più scottante a Venezia in quanto l’Italia, guidata da un governo di estrema destra eletto un anno fa, è in prima linea di fronte al tema dei migranti che cercano di raggiungere l’Europa. Dall’inizio dell’anno sono arrivati in Italia più di 105.000, più del doppio rispetto al 2022. E, secondo l’Onu, più di 2.000 di loro sono già morti da gennaio nel tentativo di attraversare il Mediterraneo, divenuto il rotta migratoria più mortale del mondo. È per dare un volto a questi migranti che Matteo Garrone, il regista italiano di Gomorrasi è trasformato Io, Capitanonella corsa per il Leone d’Oro.
Il film racconta la storia epica degli adolescenti senegalesi Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall), due cugini che decidono di lasciare la famiglia senza dire una parola per tentare la fortuna in Europa. Senza miserabilismo, evoca i pericoli che li attendono nel loro viaggio: marce estenuanti attraverso il Sahara, torture nelle carceri libiche, schiavitù… I due cugini finiranno per imbarcarsi per l’Italia a bordo di una barca sovraffollata.
Un road movie iniziatico
Il lungometraggio, che non si sofferma sulle ragioni che spingono i giovani senegalesi all’esilio, si propone come “una contromossa a ciò che vediamo abitualmente”ha spiegato mercoledì Matteo Garonne, 54 anni.“Per anni abbiamo visto arrivare barche dal Mediterraneo. A volte le salviamo. Altre volte no”, osserva Matteo Garonne. “Col tempo ci abituiamo a vedere queste persone come numeri e dimentichiamo che dietro c’è tutto un mondo, famiglie, sogni, desideri…”.
“L’idea è quella di posizionare la telecamera dal lato opposto, cioè in Africa, puntandola verso l’Europa, per raccontare il loro viaggio e soprattutto viverlo insieme a loro”. Per questo road movie iniziatico, il regista ha effettuato ricerche approfondite, in particolare raccogliendo testimonianze di migranti.
Oltre a ciò, il film mette in discussione la responsabilità degli europei, che hanno subappaltato parte della politica migratoria ai regimi della sponda meridionale del Mediterraneo o hanno scaricato la responsabilità tra Stati per evitare di fornire assistenza alle imbarcazioni di migranti in difficoltà.
“Rendete giustizia all’invisibile”
Un’altra grande voce del cinema europeo, la polacca Agnieszka Holland, in competizione con Bordo verdevorrebbe che gli europei si fermassero “nascondere la testa sotto la sabbia” alla situazione ai loro confini. “La gente non vuole vedere cosa succede ai confini, ecco perché ho realizzato questo film”, spiega il regista 74enne. Il suo film corale di due ore e mezza in bianco e nero è un dipinto senza compromessi sul destino dei migranti provenienti dalla Siria, dall’Afghanistan e dall’Africa, lanciati tra Polonia e Bielorussia nel 2021, prigionieri di un gioco diplomatico che va oltre le loro possibilità.
Il lungometraggio, anch’esso presentato in concorso, mira “portare giustizia e dare voce a coloro che sono stati messi a tacere”. Ha già provocato le ire del governo polacco, che ha attaccato verbalmente la regista più volte candidata agli Oscar, che ha vissuto tra Germania, Polonia, Francia e Stati Uniti, dove ha diretto episodi di successo serie come Il cavo, L’uccisione O Castello di carte. Niente che impressioni Agnieszka Holland: senza consapevolezza, l’Europa “diventerà una sorta di fortezza dove noi europei uccideremo le persone che cercano di raggiungere il nostro continente”, avverte.