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la sanguinosa nascita di una leggenda del West italiano

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Presentato a un pubblico più giovane e più vasto attraverso Quentin Tarantino, il Django di Sergio Corbucci è appena uscito in Francia. Uno sguardo alla nascita di una vera leggenda del western italiano, incarnata dal grande Franco Nero.

“Django, sei sempre stato solo?” (Django, sei sempre stato solo?) chiede candidamente il sublime tema principale. Parole che avrebbero potuto rivelarsi profetiche se Django non si è distinto dai nuovissimi spaghetti western degli anni ’60 grazie ai talenti combinati di Sergio Corbucci e del suo attore Franco Nero. Se non lo fosse diventato una grande influenza e un vero simbolo del sistema in cui è nato.

Decine di copie più o meno presunte, anni di adorazione e un’incoronazione da parte di uno dei cineasti americani più apprezzati del momento dopo, Django non è sicuramente più solo. La ricetta per un’icona del genere? È semplice: un micro-budget, un pizzico di fortuna, poche buone scelte, molto alcol, una buona dose di carisma e una grande dose di misantropia. Lascia che sia immerso nella cultura popolare per diversi anni e ammira i risultati.

Grazie Carlotta

Vai Franco

1965. Franco Nero è in macchina con il suo agente, Paola Pegoraro, e suo marito, Elio Petri. Ha colto l’occasione per chiedere al regista di L’assassino e La decima vittima il suo parere su una proposta che gli ha fatto Pegoraro, ovvero il ruolo di Django nell’omonimo film: “Elio, voglio essere un grande attore, fare film importanti. Non ne sono ancora sicuro, ma sento che mi vogliono per un western”. Petri gli chiede semplicemente: “Chi ti conosce?”. Nero risponde: “Nessuno”. Il regista conclude: “Quindi non hai niente da perdere. Fallo.”

All’epoca, infatti, nonostante una formazione teatrale e un’ambizione divorante, l’attore appariva solo in pochi film, generalmente in sottofondo. Forse il suo ruolo più importante è quello di Charley Garvey in Il Forcenés, dove si confronta con James Mitchum e Gordon Scott di Tarzan. È ancora lontano dalla cima del disegno di legge. Ha quindi ragione ad ascoltare il suo fugace mentore e ignorare la sua sfiducia nei confronti del western italiano, allora al suo apice (Il buono il brutto e il cattivo sta per segnare con il ferro rovente una generazione), ma già ben schiacciato da un’armata di produttori desiderosi di convertire falsi dollari e falsi peseto in lira dura.

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Django: foto, Franco NeronSolo la classe

Non sa che sta per intraprendere un’avventura tanto essenziale per la sua carriera quanto per il futuro del genere e della sua percezione nel mondo, grazie a un regista, Sergio Corbucci, ma anche ad alcuni suoi subalterni. Fu uno di loro, Ruggero Deodato, a trovarlo, se dobbiamo credere alla sua intervista, intitolata Il cannibale del selvaggio West. Il mito del cinema di sfruttamento transalpino, anni prima di traumatizzare il mondo intero con i suoi film cannibali, è stato allora aiuto regista.

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