Nelle giornate soleggiate ci piace passeggiare nella foresta, goderci la freschezza degli alberi e ammirare i panorami della natura. Ma le nostre passeggiate non sono prive di conseguenze per la fauna selvatica.
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Un team di ecologisti americani ha studiato gli effetti delle nostre passeggiate nella foresta sugli animali. Un aggiornamento su questo lavoro con Mathilde Fontes, caporedattrice della rivista Epsilon.
franceinfo: Quando utilizziamo la foresta, modifichiamo effettivamente il comportamento degli animali?
Matilde Fontes: Sì, dovevamo dubitarne, ma anche allora la questione non era stata approfondita: che effetto avevano sugli animali il nostro trekking, la raccolta dei funghi e le incursioni in mountain bike nel bosco? Non per la spazzatura che lasciamo dietro di noi, ma per il rumore che facciamo, semplicemente esistendo. Va detto che è molto difficile misurare con precisione. In questo primo studio, i ricercatori hanno semplicemente analizzato l’impatto del suono e del rumore umano. Hanno lavorato con registrazioni audio nella foresta del Wyoming e con telecamere per misurare i movimenti e i comportamenti degli animali. Non passiamo inosservati. Gli animali scappano 3 o 4 volte più spesso rispetto a quando non siamo presenti. Adottano comportamenti consapevoli: monitorano e mangiano meno. L’effetto è duraturo, perché nei luoghi in cui siamo passati, la fauna selvatica rimane in inferiorità numerica per giorni e giorni.
È così per tutti gli animali?
Questo fenomeno è particolarmente evidente per gli erbivori – gli alci, per esempio – e meno per i carnivori che sono essi stessi predatori, come noi. Questi risultati sono coerenti con altri studi che si sono moltiplicati negli ultimi anni sull’impatto dei predatori sugli ecosistemi. La presenza di un predatore non ha solo un effetto locale, quando attacca, ma ha anche un effetto globale sull'ecosistema. La presenza solitaria induce cambiamenti significativi nella preda, che successivamente portano all'evitamento di determinate aree o al cambiamento della modalità di alimentazione. Ad esempio, al largo delle coste del Sud Africa, i leoni marini spaventano così tanto gli sciocchi del Capo che migrano al largo di notte, lontano dalle riserve ittiche.
Dovremmo parlare di “paesaggi della paura”?
Questa è infatti la formula che tenta di descrivere questo fenomeno: la gerarchia del pericolo che si costruisce nella mente degli animali e ne dirige il comportamento. Questo è il panorama della paura di cui gli esseri umani fanno parte Stare. Può essere positivo o negativo per la biodiversità: nelle foreste selvagge, ad esempio, altri studi hanno dimostrato che i predatori tendono ad aumentare la biodiversità vegetale, impedendo agli erbivori di attaccare sempre le loro specie vegetali preferite.
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