È bastato un cambio di metodologia contabile a livello dell’ufficio statistico europeo per gonfiare a dismisura i disavanzi pubblici italiani. Per il 2020, il deficit scenderà dal 9,5% del PIL al 9,7%, ha detto mercoledì l’agenzia statistica italiana, Istat. Per il 2021 il dato è stato rivisto al rialzo di quasi 2 punti al 9% del PIL. E nel 2022 il deficit non dovrebbe più essere del 5,5% come aveva previsto il governo di Giorgia Meloni, ma dovrebbe arrivare piuttosto all’8%!
Il motivo di queste ampie correzioni è legato al trattamento dei crediti d’imposta nei conti pubblici. Il 16 febbraio, in occasione del pubblicazione del suo nuovo manuale di finanza pubblica , l’Istituto europeo di statistica, Eurostat, ha indicato che i crediti d’imposta devono ora essere iscritti nei bilanci dello Stato quando vengono concessi e non più quando hanno un reale impatto sul gettito fiscale. Il che cambia molte cose nel caso italiano.
Il “superbonus” in questione
In termini assoluti è la misura fiscale adottata a luglio 2020 dal governo di Giuseppe Conte quella che incide maggiormente. All’epoca, il dispositivo denominato “superbonus”, aveva lo scopo di agevolare i lavori per la transizione energetica che vanno dall’isolamento termico ai pannelli solari attraverso la sostituzione degli infissi. Questo dispositivo ha assunto la forma di un credito d’imposta spalmato su cinque anni. Era pari al 110% dell’importo dell’investimento ed era cedibile. Alcune famiglie in difficoltà economica avevano la possibilità di cedere questo credito d’imposta ad imprese edili che le rivendevano ad un istituto bancario, incaricando quest’ultimo di recuperare poi il denaro dallo Stato.
Vittima del suo stesso successo
Vittima del suo successo, il “superbonus” è costato caro alle casse dello Stato. “L’ammontare delle agevolazioni erogate attraverso questo canale negli ultimi anni è significativo data la sua facilità di utilizzo: secondo l’Agenzia Nazionale per l’Efficienza Energetica, l’importo cumulato degli investimenti ammessi alla detrazione fiscale è di circa 65,2 miliardi di euro (3,5% del PIL )”, indicava la scorsa settimana una nota di ricerca di Ludovico Sapio alla Barclays. “Poiché gli incentivi fiscali sono stati molto generosi, la revisione del deficit pubblico 2020-2022 si è rivelata estremamente significativa, ammontando complessivamente a circa 80 miliardi di euro, pari al 4,3% del Pil” cumulativamente, indica da parte sua Nicola Nobile, economista all’Oxford Economics.
Se aggiungiamo altri bonus costruzioni, questa cifra arriverebbe anche a 110 miliardi di euro, ovvero circa il 6% del Pil. Tuttavia, le previsioni di bilancio del governo italiano avevano contato su un costo complessivo di 72,3 miliardi di euro, da qui lo slittamento dei disavanzi.
giro di vite
Il nuovo governo ha reagito rapidamente. Innanzitutto riducendo il credito d’imposta non più al 110% dell’importo dell’opera ma al 90% sottoponendolo a condizioni di risorse. A metà febbraio ha improvvisamente posto fine alla cessione di questi crediti d’imposta, che quindi non sono più negoziabili e non possono più essere incassati come prima dalle banche. Per l’anno in corso l’impatto sul disavanzo, previsto al 4,5% del PIL, dovrebbe quindi essere più contenuto alla luce delle misure adottate.
Di fronte a cifre riviste di tale entità, gli investitori sono rimasti impassibili. Questa revisione era attesa e il caso italiano non ha nulla a che fare con l’episodio greco dei primi anni 2010 che ha portato a una crisi del debito in Grecia. Per Barclays, le revisioni al rialzo dei deficit non cambiano la sostenibilità di fondo del debito italiano. L’incertezza è maggiore, invece, per quanto riguarda l’impatto sull’edilizia residenziale e sulla ristrutturazione delle abitazioni.
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