Tutti gli amanti della pittura impressionista hanno appuntamento a Torino, nel capoluogo piemontese. Vi sono esposte fino al 4 giugno 300 opere di tutti i grandi nomi di questo movimento pittorico.
“Torino celebra il momento storico in cui l’arte moderna non è più italiana ma diventa francese”. È in questi termini, a dir poco enfatici, che il 10 marzo il Segretario di Stato italiano per la Cultura e critico d’arte Vittorio Sgarbi ha inaugurato la mostra-evento della primavera culturale torinese: “Gli impressionisti tra sogno e colore” ( “Gli impressionisti, tra sogno e colore”).
Un evento espositivo. Perché per la prima volta in Italia, tutte le opere esposte nelle otto mostre organizzate tra il 1874 e il 1886 dagli artisti che decisero di affrancarsi dalla tutela del Salone di Parigi, poi mostra ufficiale di Belle Arti nella città della luce. Monet, Manet, Renoir, Degas, Pissarro, Gauguin o Cézanne, solo per citare i più noti: ci sono tutti!
Sotto forma di 45 oli e tele, 23 opere a tecnica mista, ma anche opere grafiche, studi preparatori, ceramiche, sculture… E poi lettere, foto, libri, abiti oltre che oggetti. Tante testimonianze sulle innumerevoli ed incessanti ricerche intraprese da questi pittori presto raggruppati sotto il generico nome di Impressionisti. Da quelle sul classicismo fatte da Ingres, al realismo di Courbet, passando per le scoperte tramandate ai posteri sotto il nome di scuola di Barbizon.
“Chi verrà a vedere questa mostra non vedrà solo opere di Monet, Renoir o altri pittori: dovrà sentire il peso di un mondo che è cambiato”spiega Vittorio Sgarbi. “Dagli anni Settanta dell’Ottocento gli impressionisti abbandonano i temi religiosi e sacri della grande pittura della tradizione cristiana per confrontarsi con il mondo, con le persone del loro tempo che vivevano nelle città o nelle campagne. Fu l’inizio della pittura moderna !
“Quindi è abbastanza normale che sia qui, a Torino, la città più moderna d’Italia, che si svolga questa mostra”. ha concluso il sottosegretario alla Cultura Giorgia Meloni, nuovo capo del governo italiano.
Se Vittorio Sgarbi è un’autorità quando si parla di impressionismo, è soprattutto nella sua qualità di membro del comitato scientifico organizzatore, insieme a Gilles Chazal, direttore del Petit Palais di Parigi, Vincenzo Sanfo, curatore della mostra e specialista del movimento impressionista, Maïthé Vallès-Bled, direttrice del museo di Chartres e del museo Paul Valéry di Sète, e Alain Tapié, direttore della collezione “Pittura in Normandia”.
“Quello che volevamo raccontare è lo spirito di un’epoca“, spiega da parte sua Vincenzo Santo, uno dei due curatori della mostra. “Un’era che vive di sogni. Ad esempio, quella di inventare un nuovo stile di vita in un’epoca di nuovi orizzonti aperti dall’avvento dell’elettricità, del cinema e di tanti progressi tecnici. Ma il sogno, è anche quello di colore. Perché l’impressionismo è la pittura del colore per eccellenza!”, conclude il curatore della mostra.
Aperta al pubblico fino al 4 giugno, la mostra offre un panorama completo della storia del movimento artistico attraverso le opere del centinaio di artisti che ne sono diventati i riferimenti. Attingendo all’impressionismo del pittore David, le prime sale rappresentano il fermento che attraversava il mondo dell’arte parigina alla fine del XIX secolo. Un mondo prigioniero di una visione accademica e rigorosamente controllato dal meccanismo dei Saloni.
Una seconda parte, la più ricca di opere (circa 150), permette di scoprire i 50 principali attori della “rivoluzione impressionista” che si chiamino Degas, Pissarro, Cézanne, Gauguin, Manet o Renoir, con in particolare l’eccezionale presentazione di uno dei più grandi pastelli al mondo prodotti da Renoir: la sua celebre “Saona che si getta tra le braccia del Rodano”.
Infine, un’ultima parte permette di apprezzare l’eredità lasciata dal “ciclone impressionista”. E in particolare l’emergere di nuove generazioni di artisti che hanno adottato dai loro predecessori il modo veloce ed essenziale di dipingere; il concetto di “pittura all’aria aperta” diventava loro ovvio… che si chiamassero Bonnard, Toulouse-Lautrec, Suzanne Valadon o Utrillo,
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