Luciano Dadò vive incollato alla sua roccia. Nella frazione di Sabbione, situata su un pendio erboso della Val Bavona, nella Svizzera italiana, si vede da lontano la sua casa in pietra a secco. È annidato nella cavità di un enorme monolite di gneiss delle dimensioni di un piccolo edificio, che si adatta alla forma del suo tetto. Per entrare nel minuscolo soggiorno-cucina al piano terra bisogna piegare la schiena tanto bassa è la porta. All’interno, sotto travi in legno scuro, un piccolo camino, un tavolo coperto da una tovaglia di tela cerata, pentole appese allo scaffale.
“Questa parte era usata per il fieno, e la gente viveva al piano di sopra, racconta il settantenne in italiano, ex tecnico ospedaliero. Ma dormivano solo lì. Erano fuori durante il giorno”. Questa casa, Luciano l’ha restaurata trent’anni fa. Appartiene da generazioni alla sua famiglia, che lo utilizzava per la transumanza delle sue mucche, tra Cavergno, paese all’imbocco della Val Bavona, e gli alpeggi, 1000 metri più in alto della montagna. Lui stesso ha vissuto questa vita da adolescente: in una foto in bianco e nero, lo vediamo salire all’alpeggio, con la schiena appesantita dall’attrezzatura, dietro al padre, ancora più carico di lui.
Luciano poi partì per lavorare in città, e la casa ora gli serve per godersi la pensione, dalla primavera all’autunno, “nei giorni di bel tempo”. In ambiente rustico, senza allaccio alla rete elettrica. E in un ambiente che non è cambiato molto dai tempi dei suoi antenati. Sulla stradina in fondo al borgo, gli escursionisti hanno sostituito il bestiame. Per il resto, ad appena quaranta minuti di macchina dalle facciate colorate e dalle palme della vivace cittadina di Locarno, la Val Bavona sembra congelata nel tempo…
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