Il colosso italiano degli idrocarburi Eni ha annunciato giovedì 18 marzo di aver offerto alla Procura della Repubblica di Milano il pagamento di una multa di 11,8 milioni di euro per chiudere un’indagine sui sospetti di corruzione in Congo-Brazzaville contro la società e uno dei suoi leader. L’accusa ha riclassificato il presunto reato di corruzione internazionale come appropriazione indebita, aprendo la strada a una composizione amichevole, ha affermato il gruppo in una nota. Interrogata da AFP, Eni non ha voluto rivelare l’identità del responsabile della società implicata nella vicenda.
Secondo la stampa italiana, l’indagine avviata nel 2017 riguarda i rinnovi dei permessi petroliferi richiesti nel 2015 da Eni in Congo-Brazzaville. Il gruppo è sospettato di aver accettato di vendere quote della sua licenza in cambio di una società di comodo di proprietà di funzionari congolesi. Eni ha assicurato la sua proposta “Non rappresenta un riconoscimento di colpa da parte dell’azienda”, maggior parte “Un’iniziativa volta ad evitare il prosieguo di procedimenti giudiziari, che comporterebbe un notevole dispendio di risorse per Eni e per tutte le parti interessate”.
Questo annuncio arriva il giorno dopo la decisione del tribunale di Milano di rilasciare i dirigenti di Eni e il colosso petrolifero Shell, implicati in un vasto caso di corruzione in Nigeria. In questo clamoroso processo, la procura italiana sospettava che i due gruppi avessero pagato $ 1,092 miliardi di tangenti (circa 914 milioni di euro), su un totale di 1,3 miliardi sborsati nel 2011, per l’acquisizione in Nigeria di una licenza esplorativa per l’offshore blocco olio OPL-245.
Tra i tredici imputati c’erano il boss dell’Eni, Claudio Descalzi, e il suo predecessore, Paolo Scaroni, contro i quali la Procura di Milano aveva chiesto a luglio condanne a otto anni di reclusione per corruzione. Il dott. Descalzi è oggetto di un’altra indagine svolta nel 2019 dalla Procura di Milano per conflitto di interessi nell’ambito delle attività di Eni in Congo, sospetti che l’interessato considera “infondato”.
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