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Telelavoro dall’estero: le conseguenze per gli espatriati

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Lo sviluppo del telelavoro ha spinto diversi dipendenti a lavorare dall’estero. Qualcosa da contestare al fisco italiano sulla retribuzione dei lavoratori espatriati.

Se fino a pochi mesi fa i lavori si svolgevano prevalentemente nei locali dell’azienda, la pandemia ha cambiato prassi. Si è diffusa la possibilità del telelavoro, lasciando la possibilità ai dipendenti di scegliere il luogo in cui lavorare, anche all’estero.
Tuttavia, l’uso (e talvolta l’abuso) del telelavoro, comunemente noto come lavoro intelligente in Italia, ha dato luogo ad alcuni problemi, come l’individuazione del regime fiscale da applicare alle retribuzioni degli espatriati che lavorano in telelavoro in un territorio diverso dalla sede del datore di lavoro.

Trattamento fiscale del reddito da lavoro dei lavoratori distaccati all’estero

Di recente, l’Amministrazione finanziaria italiana è stata chiamata ad esaminare tale questione (istruttoria n° 590/2021 del 15 settembre 2021), rispondendo ad una società italiana appartenente ad un gruppo multinazionale.
La richiesta dell’azienda era volta a capire se un suo dipendente, distaccato presso una controllata in Germania, potesse telelavorare da casa sua in Italia (e/o in altri paesi), senza che questo potesse impedire l’applicazione del regime fiscale convenzionale, ai sensi dell’art. 51, comma 8 bis, TUIR.
Tale norma prevede che i redditi da lavoro prodotti da coloro che, pur esercitando la propria attività lavorativa all’estero, continuano ad essere considerati fiscalmente residenti in Italia, devono essere assoggettati a tassazione agevolata che assume come base imponibile la remunerazione contrattuale stabilita annualmente con ordinanza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (cioè senza tener conto della retribuzione effettivamente corrisposta al lavoratore).

L’Agenzia delle Entrate ha stabilito che tale agevolazione si applica a condizione che:
• il lavoratore che lavora all’estero, è inquadrato in una delle categorie per le quali la citata sentenza ministeriale fissa la retribuzione convenzionale;
• l’attività professionale è svolta all’estero con carattere permanente o sufficientemente stabile;
• il lavoro svolto all’estero costituisce oggetto esclusivo del rapporto di lavoro e, conseguentemente, la prestazione del lavoro è svolta interamente all’estero;
• il lavoratore, nel corso di un anno solare, soggiorna all’estero per un periodo superiore a 183 giorni.

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Tuttavia, in relazione a quest’ultima condizione, l’Amministrazione finanziaria ha rilevato che l’obbligo di soggiorno all’estero per un periodo superiore a 183 giorni e per un periodo di dodici mesi (necessario ai fini dell’applicabilità dell’accordo retributivo previsto dall’art. 51, comma 8 bis, del Tuir), non può ritenersi compiuto se, entro il suddetto termine, il lavoratore distaccato in Germania effettua telelavori in Italia, sino a permanenza all’estero per un periodo inferiore a 183 giorni.
“Il telelavoro in Italia implica la presenza fisica del lavoratore nel nostro Paese e, quindi, il mancato rispetto della condizione richiesta dal legislatore nel caso in cui, su un periodo di dodici mesi, la permanenza in Italia sia pari o superiore a 183 mesi “, ha così concluso l’Amministrazione finanziaria.

Il caso dei lavoratori rimpatriati in Italia: applicabile il regime fiscale vantaggioso per i rimpatriati?

L’Agenzia delle Entrate ha inoltre commentato la situazione di un cittadino italiano, iscritto all’AIRE (Anagrafe degli Italiani all’estero) dal 2019, che ha manifestato la volontà di tornare in Italia (con la famiglia), pur continuando a lavorare al telelavoro per un società estera (Interpellanza n. 596/2021 del 16 settembre 2021).
In tale circostanza, l’Agenzia delle Entrate italiana ha affermato che i lavoratori residenti all’estero e che trasferiscono la propria residenza in Italia non appena lavorano in lavoro intelligente per una società estera, può beneficiare del regime vantaggioso per gli impatriati (di cui all’art. 16, d.lgs. 147/2015). Per questo, il lavoratore deve rispettare diverse condizioni:
• trasferire la residenza nel territorio dello stato italiano;
• non aver risieduto in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il ​​trasferimento e si impegnano a risiedere in Italia da almeno 2 anni;
• esercitare l’attività lavorativa prevalentemente sul territorio italiano;
• mantenere la residenza fiscale in Italia per almeno due anni.

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Questa risposta del fisco italiano può illuminare i potenziali lavoratori (dipendenti e/o autonomi) che desiderano trasferirsi per lavorare in Italia, in modalità di lavoro intelligente, avvalendosi del regime fiscale vantaggioso (articolo 16, d.lgs. 147/2015).

Si precisa infatti espressamente che per accedere a tali vantaggi non è più necessario che l’attività professionale sia svolta esclusivamente a favore di società operanti nel territorio dello Stato italiano. Lo schema è ora accessibile a tutti i soggetti che vengono a lavorare in Italia, anche in telelavoro, anche se il datore di lavoro ha sede all’estero o i clienti sono stranieri (nel caso di azienda o lavoratore autonomo).
In questo contesto, e per concludere, non possiamo che rilevare che questi ruling fiscali, fondati su due casi concreti, hanno fornito importanti e utili indicazioni circa il regime fiscale applicabile ai redditi da lavoro dipendente prodotti in Italia dal telelavoro.

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