Decine di attivisti hanno manifestato domenica a Sousse, città portuale nella Tunisia orientale, per chiedere la restituzione di 282 contenitori di rifiuti domestici importati illegalmente dall’Italia da una società tunisina.
Durante l’estate del 2020 le dogane hanno scoperto questi rifiuti domestici, la cui esportazione è vietata dalla legislazione tunisina e dalle convenzioni internazionali, presentati amministrativamente dall’azienda importatrice come rifiuti plastici “non pericolosi”.
Le autorità italiane avevano ordinato alla società esportatrice di recuperare i suoi container entro 90 giorni dal 9 dicembre 2020, ha detto giovedì Jabeur Ghnimi, portavoce del tribunale di primo grado di Sousse, responsabile del caso.
La scadenza non è stata rispettata perché i container sono ancora al porto, secondo fonti corroboranti.
“Non c’è giustizia sociale senza giustizia ambientale”, hanno gridato i manifestanti riuniti domenica per chiedere il rimpatrio dei rifiuti.
Questo caso rappresenta un “crimine contro il popolo tunisino”, ha dichiarato Majdi ben Ghazala, membro del consiglio municipale di Sousse.
“Chiediamo alle autorità (tunisine) di mostrare più determinazione” affinché questi rifiuti vengano restituiti, ha aggiunto.
Secondo Hamdi ben Saleh, un manifestante, un’altra manifestazione è prevista per giovedì davanti all’ambasciata italiana a Tunisi.
Ventisei persone sono state perseguite in questo caso di corruzione, compresi i funzionari della dogana e l’ex ministro dell’Ambiente, Mustapha Aroui, che è stato arrestato. Otto sono in prigione e uno in fuga: il manager dell’azienda importatrice.
Questo caso, che ha provocato uno scandalo in Tunisia, illustra le ramificazioni del commercio illegale di rifiuti, in aumento a fronte dell’inasprimento degli standard europei.
Questo fenomeno è tanto più preoccupante in quanto le infrastrutture tunisine non consentono al Paese di trattare i propri rifiuti.