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“Vita Nuova”, a Nizza, presenta quindici anni di arte italiana tra rabbia e parodia

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Sulla creazione artistica in Italia nella seconda metà del XX secoloe secolo, mostre e musei conoscono generalmente un solo movimento, l’arte povera, apparso sotto questa etichetta inventata dal critico Germano Celant (1940-2020), nel 1967. La formula era sorprendente, ma vaga. La nozione era infatti abbastanza ampia da poter essere applicata ad opere tanto diverse da quelle di Michelangelo Pistoletto, Giuseppe Penone o Mario Merz.

Ha funzionato perfettamente, tanto che ciò che è stato prodotto prima o contemporaneamente e non rientra in questa categoria è stato appena esposto in Francia. Piero Manzoni (1933-1963) sfuggì certo a questa ignoranza, ma per ragioni sbagliate: la sua esibizione del Artista di merda (1961) è regolarmente citato come prova della decadenza dell’arte da autori che non vogliono – o non possono – comprendere il significato ironico di questi barattoli di latta gialli che dovrebbero contenere escrementi d’artista.

Evitando questa povera polemica, Valérie Da Costa, curatrice di “Vita Nuova”, ha scelto di non inserire Manzoni nella mostra che sta organizzando al Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Nizza (Mamac), il cui scopo è presentare un’altra storia di L’arte italiana, dagli anni Sessanta alla metà del decennio successivo, più dettagliata e sottile. Se vi è presente l’arte povera, è quindi in maniera ridotta. Possiamo pentirci, perché vedere pezzi di Luciano Fabro (1936-2007), Jannis Kounellis (1936-2017) o dei tre sopra citati fa sempre bene. Ognuno qui ne ha solo uno o due, nella migliore delle ipotesi, ma, grazie a questo pregiudizio, ne vengono ampiamente mostrati altri, più e meglio del solito.

Rapporti con la cronaca politica

C’è chi non faceva parte di nessun gruppo, perché morto troppo giovane, come Pino Pascali (1935-1968) o perché la loro singolarità non può far parte di nulla in comune, come è stato il caso di Fabio Mauri (1926-2009) e still è per Piero Gilardi, le cui sculture in poliuretano espanso policromo sconcertano ancora lo sguardo. C’è chi ha sofferto, a volte tutta la vita, per essere loro, e non loro: se è ormai certo – o almeno così vogliamo credere – che Carla Accardi (1924-2014) occupa un posto di primo piano negli sviluppi più avventurosi dell’astrazione, Lucia Marcucci, classe 1933, è ben lungi dall’essere citata in tutti i racconti della pop art, non più di Giosetta Fioroni, classe 1932, o di Titina Maselli (1924-2005), che lo meritano anche loro.

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