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Whistleblowing e tutela dei whistleblower: le novità in Italia

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La Direttiva Europea sulla protezione dei whistleblower è stata finalmente recepita nell’ordinamento italiano. La legge consente ora di proteggere i dipendenti del settore privato che denunciano illeciti commessi dai membri della loro azienda. Come funziona ?

La normativa italiana sul whistleblowing, ovvero gli strumenti a tutela dei dipendenti che segnalano illeciti da parte dei membri dell’azienda per cui lavorano, sono stati ormai introdotti nell’ordinamento giuridico italiano. 90/2012, ma limitatamente ai dipendenti della pubblica amministrazione.
Per quanto riguarda il settore privato, la legge non ha dettato una disciplina ad hoc, si è limitata a prevedere, attraverso la L. 179/2017, la necessità di interventi finalizzati alla revisione dei già esistenti modelli organizzativi previsti dalla L. 231/2001, considerato che tra Oltre agli adempimenti organizzativi e di controllo volti a prevenire le violazioni, vi è stata anche l’istituzione di un canale attraverso il quale dipendenti o collaboratori della società potessero segnalare eventuali comportamenti illeciti, con garanzia della loro riservatezza (leggi il nostro articolo di novembre 2017).

Con il nuovo Decreto Legislativo n. 24/2023, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 15 marzo 2023, la Direttiva europea n. 1937/2019 sulla tutela degli informatori è stato finalmente recepito nell’ordinamento italiano.
Le disposizioni in esso contenute entreranno in vigore dal 15 luglio 2023, ad eccezione delle imprese del settore privato che impiegano in media meno di 250 dipendenti, per le quali gli obblighi entreranno in vigore dal 17 dicembre 2023.

Il campo di applicazione della nuova normativa

Dal punto di vista oggettivo, il decreto ha inoltre esteso l’ambito di applicazione della disciplina del sistema whistleblowing non solo alla pubblica amministrazione (e alle imprese con modello organizzativo ex L. 231/2001), ma anche al settore privato e quindi a tutte le aziende che, in media nell’ultimo anno, hanno occupato almeno 50 lavoratori subordinati o aziende, anche le più piccole, che rientrano nell’ambito di applicazione degli atti dell’ Unione Europea.
Dal punto di vista soggettivo, è stato inoltre esteso il perimetro della tutela offerta, non solo a favore del segnalante, ma anche a favore dei soggetti che hanno facilitato la segnalazione o che l’hanno resa pubblica (ai sensi della Direttiva del UNIONE EUROPEA).

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Il canale di segnalazione interna

Decreto n. 24/2023 prevede l’attivazione di canali di segnalazione interna che garantiscano la riservatezza dell’identità dell’autore della segnalazione, dell’interessato e della persona menzionata nella segnalazione, nonché del contenuto della segnalazione e della relativa documentazione.
È espressamente previsto che, nell’ambito di un procedimento disciplinare, l’identità dell’autore della segnalazione non possa essere rivelata. Se l’accusa è fondata in tutto o in parte sulla conoscenza e sull’identità personale del dichiarante, la segnalazione sarà utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo se il dichiarante ha espresso il proprio consenso alla divulgazione della sua identità.

Il processo di rendicontazione interna

Il nuovo regolamento riguarda anche la procedura di segnalazione. Precisa in dettaglio i requisiti per la predisposizione e gestione del canale di segnalazione interna, prevedendo che deve essere consentito non solo che la segnalazione sia effettuata per iscritto, ma anche che sia effettuata esclusivamente oralmente (art. 4, comma 3) .
Inoltre, la gestione del canale di segnalazione interna deve essere affidata o ad un soggetto o ufficio interno indipendente, a tal fine dedicato e dotato di personale specificatamente formato, oppure ad un soggetto esterno, anch’esso autonomo e specificatamente formato.
È previsto che l’avviso di ricevimento della relazione debba essere notificato al relatore entro 7 giorni dal ricevimento, e che il riscontro debba essere dato entro 3 mesi dalla data dell’avviso.

Il canale di segnalazione esterna

Il decreto istituisce inoltre, ad ulteriore garanzia dell’effettività delle norme, un canale di segnalazione esterna la cui gestione è delegata all’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione).
Tale canale di segnalazione può essere utilizzato nel caso in cui lo strumento di segnalazione interna non sia stato attivato o non sia conforme alla normativa, oppure in caso di segnalazione interna non riuscita o negativa, ovvero qualora il segnalante tema ritorsioni per l’utilizzo del canale interno.

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Infine, il decreto autorizza anche la diffusione al pubblico delle informazioni sulle violazioni mediante mezzi di stampa o telematici o, comunque, mediante mezzi di diffusione idonei a raggiungere un numero elevato di persone, da attivare solo in determinate circostanze.

Le sanzioni previste

Pesanti le sanzioni per le violazioni: il decreto introduce sanzioni amministrative a carico dell’ANAC

  • da 10.000 a 50.000 euro in caso di ritorsione, ostacolo alla segnalazione e violazione dell’obbligo di riservatezza, nonché in caso di mancata predisposizione di canali di segnalazione o procedure per l’effettuazione e il trattamento delle segnalazioni;
  • da 500 a 2.500 euro nel caso in cui il denunciante sia ritenuto penalmente responsabile dei reati di diffamazione o calunnia.

Sotto il profilo del rapporto di lavoro, è prevista la sanzione della nullità per tutti gli atti di ritorsione e discriminazione che il segnalante potrebbe subire da parte del contraente a seguito della sua denuncia, ed in particolare l’art. 4 L. 604/1966 è stato modificato estendendo l’ipotesi di nullità del licenziamento anche alle ipotesi in cui esso sia determinato e/o consecutivo “all’esercizio di un diritto o alla denuncia, alla denuncia all’autorità giudiziaria o contabile o alla comunicazione al pubblico resa ai sensi del D.lgs. Decreto di attuazione della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2019”.

Considerazioni finali

Resta presente nel decreto una delle limitazioni già presenti nella Legge 179/2017, ovvero la tutela ancora parziale dei danneggiati da false segnalazioni.

Infatti, il terzo comma dell’articolo 16 del D.Lgs. 24/2023 prevede che le tutele del segnalante non si applicheranno più qualora sia accertato, anche solo con sentenza di primo grado, che egli è responsabile penalmente per calunnia o diffamazione, ovvero che è civilmente responsabile responsabile per aver agito con dolo o colpa grave.
Ne consegue che la responsabilità essendo limitata ai casi in cui il segnalante abbia agito per dolo o colpa grave, il danneggiato potrebbe, in molti casi, essere privato di un’effettiva tutela per i danni subiti a seguito della falsa dichiarazione.

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Permangono, inoltre, alcuni dubbi sulla formulazione normativa nella parte che prevede che la sanzione disciplinare nei confronti del falso segnalante possa essere irrogata solo quando sia accertata la sua responsabilità penale o civile. Tale previsione appare, infatti, contraria ai principi di rapidità ed immediatezza dell’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro, nel caso in cui si verifichino gravi inadempimenti da parte dei dipendenti (cosa che potrebbe certamente verificarsi con una falsa denuncia di un abuso, anche prima della sentenza del Tribunale).

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